Furore Ducato d’Amalfi

Questo paese montuoso ed alpestre, fiancheggiato dal lato orientale da un’angusta ed ombrosa vallata, denominata lo Schiato; la quale vien bagnata da limpido ruscello che dopo dato moto ad una fabbrica di carta emporetica e ad un molino, va a scaricare le sue acque nel mare sottoposto.

Furore, contermina ad oriente con Conca; al mezzogiorno col mare; al settentrione e ad occidente coi monti di Agerola e di Praiano.

Dal lato poi del mare ha una piccola marina recondita e ristretta a guisa di bacino, la cui imboccatura viene ammascherata da un gomito di roccia, in dove il mare vi è molto profondo e pescoso.

La denominazione di Furore << Terra Furoris >> è confacente e ben appropriata al luogo, ove, all’infuriar della tempesta, il fragore, il mugghiare e il frangere delle onde dell’imboccatura della marina, incutono un certo spavento ed orrore.

Nell’antichità, questa terra comprendeva due sobborghi giù e su riuniti con duplice appellazione di “Terra Furoris et Casanovae”; ma dopo il secolo XVII, non trovasi più nominato nelle scritture e negli atti pubblici il borgo Casanova, ritenendo il paese il comun nome Furore.

Ai tempi dell’Amalfitana repubblica, Furore era considerato come membro appartenente ad Amalfi, egualmente che Praiano e Vettica- maggiore limitrofi tra loro.

Dichiarate poscia Università, si elegevano esse il proprio sindaco, gli eletti ed i maestri giurati, subordinatamente al governo di Amalfi, da cui ricevano l’assisa de’ generi commestibili ed altro; e dal medesimo venivan loro comunicate le norme e le istruzioni che partivano da’ rettori della provincia.

Nei secoli bassi, Furore fu annesso ed aggregato al Comune di Praiano, qual suo suburbano; ma in seguito venne da esso separato, ripigliando il grado di Comune, siccome lo è presentemente.

Questo paese, comunque situato sopra rocce aspre, deserte e silenziose, tuttafiata i suoi naturali, laboriosi ed industri, sono di buona tempera e manierosi.

Il clima e quivi dolce e salubre, e ne fanno fede la buona e robusta complessione degli abitanti, e la lunga età a cui la più parte di essi sogliono attingere.

Gli ottagenarii sotto quel clima sono molto comuni.

La temperatura dell’aria è corrispondente alla elevazione del luogo: dolce e piacevole nei mesi di primavera e di estate, non così nei più forti calori.

Da quelle eccelsi rocce l’occhio si rallegra alla vista di un orizzonte lucidissimo ed all’aspetto di immenso mare, giornalmente solcato da grandi e piccoli legni in diverse direzioni.

Quivi florida si mostra la vegetazione e la coltura de’ terreni disposti a scaglione; malgrado la mancanza di sorgive per l’inaffiamento; però che gli abitanti del luogo e quelli de’ comuni convicini usano tutti l’acqua piovana delle cisterne.

Lo stesso suolo suolo è soprattutto ferace di querceti, di olivi, di carrubbi e pergolati di viti, che ne coprono ed ombreggiano le pendici della sua costa.

Difetto principale di codesto paese è la mancanza di strade comode e praticabili e di facili mezzi di trasporto.

Ai tempi remoti, la terra di Furore noverava molte chiese, tutte di fondazioni locali.

Ma al presente non ne rimangono che tre sole parrocchie rimodernate e impiastricciate le quali sono le seguenti: ed in prima, quella di S. Elia profeta, antichissima; rimodernata nel 1474 e nei tempi posteriori ancora.

In essa non ha di rimarchevole che un magnifico dipinto su tavola del pittore Angelo Antonello di Capua, che lavorò per ducati nel 1482; raffigurando la B. Vergine, S. Elia e S. Bartolomeo.

Pregevole è altresì il quadro della B. Vergine del Carmine d’ignoto pennello, portando la data del 1620.

E vi ancora una cineraria profana fregiata di grazioso fogliame, senza alcuna iscrizione.

Non meno antichissime sono le altre due parrocchie; l’una situata giù nel suindicato borgo, olim detto Casanova, cioè quella di S. Michele detta S. Angelo, costruita a due navate con colonne; e l’atra di S. Giacomo apostolo, situata più su e confinante col monte di Bomerano in tenimento di Agerola.

Esistevano altra volta nel Furore parecchie altre chiese, di cui oggidì non appariscono vestigi.

Ed erano quella di S. Maria della Pietà, con annessa confraternita laicale, costruita a due navate con altrettante porte d’ingresso, e dinanzi un cortile, cui accedevasi mediante 28 scalini; non che le altre di S. Maria della Misericordia, e di S. Maria della Pumice, di S. Gennaro, del S.S. Salvatore, di S. Marco, di S. Nicola volgarmente detta de Carumba, ossia Carrubba, e dai naturali detta ancora S. Nicola delle scioscelle.

Oggidì rimane solo la edicola di S. Caterina, situata in giù della marina.

L’arma dell’Università di Furore raffigurava uno scudo blasonato con una colonna in campo azzurro.

Questo stesso luogo produsse altra volta degli uomini virtuosi e chiari nella repubblica letteraria, e segnatamente alcuni soggetti della famiglia Summonte, originaria del Furore, tramutatesi di poi in Napoli verso la metà del XV secolo.

Oggidì in quella borgata rimangono tuttavia alcuni siti rurali e selvaggi detti li Summonti.

Pietro Summonte, oriundo del Furore e prete Napolitano, fu illustre coaccademico Pontaniano, ricordato dal Cariteo, il quale diceva esser egli << Anima eternamente al mondo viva >>: ed in altro luogo facendo menzione di lui scrisse: altilio e il Galateo fisico raro. E’ Summonzio d’ingegno e di virtude Ornato, ed agli amici dolce e caro ecc. Vien egli anche rammentato così dal P. Borelli: Nobiscum una fallit SUMMONTIUS haras. Carmina dum tractat, grammaticosque sales.

Il seniore Summonte morì in Napoli nel 1526.

Un altro Pietro Summonte junior, e dello stesso ceppo, fu uomo probo e dovizioso, e chiuse gli occhi in Napoli verso l’anno 1551.

Con suo testamento, ei legò al paese di Furore la somma di ducati cinquecento, a condizione però, che dessa “si dovesse convertere et implicare in compera di tante annue intrate sopra li Censali de la venerab ecclesia de la nontiata de Napoli medante pubbliche cautele, de li quali sende percepeno ogni anno ducati quaranta, et de dicti intrate maritarsi ogni anno in perpetuum una citella povera et honesta habitante nel loco di bascio del dicto loco del Furore seu Casanova, ad arbitrio volontà et electione de li heredi de esso magnifico Pietro con condicione che li homini et Università del dicto loco del Furore ogni anno nel mese di Aprile fossero tenuti et dovessero dare per memoria, et in sino de gratitudine et bono exemplo a li heredi et successori di esso magnifico Pietro rotola tre di aragoste di mare, bone, vive, et apte a receversi”

La umana industria per naturale istinto ha l’attitudine di trovare i mezzi di sussistenza che sono consentiti dai luoghi; e gli abitatori di Furore provvedono ai loro bisogni coi guadagni della pesca, della pastorizia e della coltura e dei prodotti del loro terreno.

Quivi la produzione dell’olio n’è eccellente e di una bontà privilegiata, da stare a confronto di quello della riviera di Sorrento, Vico Equense, Ravello etc.

Ma il prodotto n’è discreto.

Un tempo i naturali di esso luogo esercitarono con vantaggi la pastorizia, traendo utilità dai pascoli del paese e dei luoghi convicini. Altri paesani, bramosi di guadagno, percorrevano i luoghi della Puglia, e di altre contrade in qualità di merciajuoli, quivi smaltendo le bazzicature patrie e lavori di tornio.

Senz’altre parole, leviamo qui la mano, con rapportare la descrizione dello stato economico di questo luogo verso la metà del secolo XVIII.

Eccola: “la terra di Furore ha circa 70 fuochi. Le arti più frequentate in essa sono i lavori fatti al tornio i quali li mandano in Napoli con barche paesane e si guadagnano in essa arte circa ducati seicento l’anno; ed ancora l’arte di traere a suo tempo la seta, per il che se partono molti da qui per lo Cilento et per le Calabrie, e si guadagnano in ciò circa 500 ducati annui. L’arte di fare canapi da certa erba ivi nascente con guadagno d’annui ducati 300. L’arte di fare calzette di seta, in cui se ne fanno poco meno di due mila paja l’anno, con paga di sei carlini per il pajo. L’arte ancora del navigare esercitarsi da in alcuni pochi dei suoi.

“Vi nascono ogni anno circa settecento libbre di seta. Vi sono ancora frutti buoni e saporiti.”

Tieni bisogno d’annui tomoli mille ed 800 di grano; di vino botte sopra50 del Cilento; di oglio botte 10 in circa.

E’ dotata di 4 chiese, 3 delle quali sono parrocchie; gli suoi habitanti per lo più sono di buona et docile indole differenti dal nome del luogo ( Furore).